Giochi di potere fermano la metropolitana ancora prima di partire

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Prima fermata per il prolungamento della Lilla. Lo scorso 5 dicembre la Commissione Bilancio alla Camera ha bocciato il subemendamento presentato dal forzista monzese Andrea Mandelli, che chiedeva il finanziamento di 900 milioni per realizzare 11 nuove stazioni della M5, fino a Monza.

Sul punto Beppe Sala, primo cittadino di Milano, era stato chiaro: “Senza quei soldi la metropolitana non si può fare”. La cifra, infatti, era esattamente la stessa chiesta da sindaci di Milano, Monza, Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo lo scorso 29 novembre, quando si erano riuniti in Villa Reale per dare un segnale al Governo.

A questo punto per comprendere quanto sta accadendo a Roma occorre fare un passo indietro e capire chi ha fortemente voluto e organizzato quell’incontro. La regia è del leghista Alessandro Morelli, fino allo scorso marzo direttore di Radio Padania e ora a capo della Commissione Trasporti alla Camera dei deputati oltreché consigliere comunale a Milano. Nei salotti ben frequentati viene considerato l’uomo di collegamento tra Roma e Milano. La Lega ritiene il prolungamento un’opera utile e importante. E non vuole lasciarsi sfuggire l’opportunità di attribuirsi la paternità di aver condotto in porto il raggiungimento di un obiettivo strategico per il territorio. Ecco perché, quando la settimana prossima, la discussione sui finanziamenti arriverà al Senato le cose potrebbero cambiare. Qui lo stesso emendamento già presentato da Mandelli sarà riproposto dal leghista della prima ora Massimiliano Romeo. Alle spalle una lunga gavetta politica proprio a Monza, sia all’opposizione che come assessore della terza città della Lombardia.

Sono giochi di potere. Il rischio però è quello di veder sfumare la realizzazione di un’opera che non solo è attesa da decenni, ma che è necessariamente strategica per la terza città della Lombardia.

Il punto fondamentale è però un altro: la sponda politica tra Monza, la Regione e il Governo c’è, esiste, ed è sotto gli occhi di tutti. Ad amministrare l’una come le altre sono colleghi di partito o, al massimo, alleati. E se non riuscissero a portare a casa il risultato sarebbe grave.

 

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