Villa Reale: senza guida si spreca un valore

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Tutti la vogliono, nessuno se la piglia. È la storia – triste – della Villa Reale, che somiglia tanto a quella di alcune belle ragazze un po’ impegnative: corteggiate da tutti, ma nessuno poi si fa avanti con intenzioni serie.

Prendiamo, ad esempio, quello accaduto in settimana. C’è stato un convegno. Tante belle parole, pronunciate da una pletora di plenipotenziari delle istituzioni locali, regionali e nazionali. Tutti ad ascoltare le idee (cinque) raccolte dalla Camera di Commercio e dalla Triennale di Milano attraverso un concorso. Ecco, già su questo punto ci sono un paio di spunti su cui riflettere. A soli cinque anni dalla sua riapertura al pubblico la Villa è in un momento di transizione. Ergo, qualcosa non ha funzionato. Seconda riflessione. Se ad immaginare il futuro della reggia ci pensano gli altri e non il Consorzio che dovrebbe essere l’artefice delle scelte c’è più di qualcosa a non funzionare.

Si può discutere o meno sulla validità delle proposte presentate: non è questa la sede. Quello che si registra è una mancanza di regia. Bene l’idea del concorso. Ma il Consorzio e il suo presidente che dovrebbero fare sistema si sono limitati ad essere spettatori passivi. Se chi siede nella sala di comando, quella dove si schiacciano i bottoni per prendere le decisioni, non detta le linee guida queste iniziative sono destinate a cadere nel vuoto

Se le idee non sono inserite in un disegno più grande che senso hanno? Per fortuna in questi giorni ha preso il via il Master Plan della Reggia, che dovrebbe disegnare gli interessi e la direzione in cui muoversi nei prossimi anni. Ci sono anche 55 milioni di euro da usare per invertire la rotta. In altre parole, gli strumenti ci sono, ma chi dovrebbe utilizzarli è fermo al palo, cioè il presidente del Consorzio, alias il sindaco di Monza. Anzi, a dire il vero, l’immobilismo degli ultimi due anni ha fatto sì che quei soldi se li riprendesse Regione Lombardia, che ora deciderà in prima persona come utilizzarli. Se questa non è una sconfitta?

Un bene di tutti che rischia di (ri)cadere nell’oblio. Per ora, il Triennale Design Museum se n’è andato, gli ingressi in Villa sono così pochi che la minaccia di chiuderla per metà settimana continua a galleggiare nell’aria. Il ristorante ha chiuso. Le mostre attirano sempre meno. Chi ha in concessione gli spazi affitta ai privati, chiudendola al pubblico per settimane, per rientrare dell’investimento.

Abbiamo letto i giornali, qualcuno ha scritto “Fare presto, fare bene”. Siamo d’accordo: fate presto e fate bene.

Perché il Comune non partecipa ai bandi?

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Parliamo di bandi. Del fatto che il Comune ha deciso di non partecipare alla possibilità di migliorare la città. Gli ultimi in ordine cronologico sono quello sulla mobilità e quello sulla videosorveglianza.

Per quanto riguarda la sicurezza stradale, sul piatto c’erano 200mila euro. Un bel gruzzolo di questi tempi. Soldi che sarebbero arrivati da Regione Lombardia. Ma niente, la giunta ha deciso di non partecipare perché non aveva a disposizione dati sugli incidenti. Eppure esiste un ufficio statistiche. Eppure c’era una figura che si occupava di mobilità (sostenibile) e quindi immaginiamo anche di tutto quello che concerne il traffico, incidenti compresi. Ma niente. I soldi se li sono accaparrati altri comuni: alcuni più piccoli, altri grandi più o meno come Monza.

C’è anche un altro fatto. E Se fosse così sarebbe ancora più grave. A cavallo tra la primavera e l’estate scorsa, la giunta ha deciso di ingaggiare un professionista per poter partecipare ai bandi indetti dall’Unione Europea. Una persona pagata (giustamente) per il suo lavoro con i soldi dei contribuenti pubblici. Peccato che non si abbiano notizie sul fatto che Monza abbia partecipato o si sia aggiudicata bandi europei. Oltre il danno la beffa. Anci, l’associazione nazionale comuni italiani, ha al suo interno una task-force con competenze specifiche proprio per partecipare a questi bandi. Una task force che fa rete tra i comuni interessati ad una specifica tematica per ottenere dall’Europa finanziamenti su progetti condivisi.

Il profondo buio: Monza senza luci

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Il profondo buio. I cittadini hanno cominciato a chiamare così la mancanza di illuminazione pubblica nelle vie: Lissoni, Fiume, Campania, Giotto, tanto per citarne alcune. Molti lamentano di aver segnalato il problema al Comune, ma dopo giorni, settimane, in alcuni casi mesi il problema non è stato ancora risolto.

Problema si diceva, ma meglio sarebbe usare il plurale. I pedoni e i ciclisti si lamentano. “Attraversare l’incrocio è quasi impossibile”, “Parlano di città più verde e poi non fanno nulla per agevolare le due ruote”, in sintesi sono questi i commenti più ricorrenti. Altri pongono l’accento sul fattore sicurezza. Le strade buie favoriscono le cattive intenzioni. Che il nuovo regolamento di polizia locale vorrebbe estirpare. Sacrosanto. Peccato che la percezione e la reale sicurezza partano da azioni semplici, concrete. Una via illuminata di sera è un deterrente. Una via al buio?

Non sono pochi quelli che denunciano di aver contattato Enel per richiedere la sostituzione dei lampioni rotti. Ma qui comincia il rimpallo di competenze. A questo punto è necessario un passo indietro. Nell’estate del 2016 era al vaglio un progetto di project financing per la gestione ventennale dell’illuminazione pubblica. Il Comune lavorava a braccetto con Acsm-Agam. Proprio in quei giorni però arriva una proposta analoga da parte di Enel, interessata alla questione. Si tratta di un’offerta ufficiale, che rispetta tutti i vincoli del codice degli appalti. Ma il direttore generale dell’epoca rifiuta l’offerta. Enel si oppone. E come succede in questi casi si va per vie legali. In un primo momento la spunta il Comune, ma poi arriva la decisione del Consiglio di Stato che annulla il bando perché la decisione del direttore generale del Comune è illegale. Risultato: tutto fermo.Enel ha disdetto il contratto di manutenzione. Prima interveniva in tempo reale dove c’era un malfunzionamento, ora non più.

Rifiuti: il Comune in Tribunale contro una sua società. E i cittadini pagano

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Una partecipata del Comune porta in tribunale il Comune. Sembra fantascienza, invece è quello che accade a Monza attorno all’appalto rifiuti. Tutto lecito, per carità. Ma, forse, la partita andava gestita in modo diverso. Anche perché a ritardi si accumulano ritardi e a rimetterci sono i cittadini. O meglio le loro tasche, i loro portafogli, i loro risparmi.

Il fatto che la vicenda si potesse trascinare tra ricorsi, carte bollate e aule giudiziarie era abbastanza prevedibile. Ma andiamo con ordine. L’appalto per la raccolta e lo smaltimento rifiuti è stato vinto dalla De Vizia Transfer, azienda campana, di Avellino per la precisione, con sede legale a Torino (chi sono lo trovate qua). Alla gara per aggiudicarsi il servizio avevano partecipato anche altre società tra cui Acsm-Agam, la multiutility partecipata dal Comune, che correva con Agam. Di fatto un’azienda foraggiata con i soldi dei cittadini di Monza. La cordata, però, non aveva raggiunto il punteggio per entrare nel lotto delle aziende in corsa per aggiudicarsi l’appalto.

Ora gli esclusi hanno chiesto l’annullamento. Per essere più precisi hanno presentato ricorso contro l’assegnazione dell’appalto. L’appuntamento davanti ai giudici del Tar è per metà novembre. Dove da una parte ci saranno gli avvocati del Comune e dall’altra quelli della partecipata del Comune, gli uni contro gli altri. Insomma, un paradosso. Tutto lecito, dicevamo, ma forse la vicenda poteva essere gestita diversamente. Perché questo non è altro che l’ennesimo rinvio. E per fortuna che al momento dell’insediamento l’attuale giunta aveva detto che non avrebbe perso un solo giorno. Di proroga in proroga il bando attuale è scaduto da oltre un anno. Oltretutto è facile immaginare che quello di Acsm-Agam non sarà l’unico ricorso.

Degrado e pericolo

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Tolleranza zero. Doveva essere la giunta della legalità. A parole, in campagna elettorale, erano stati chiarissimi. Anche i fatti sono chiarissimi. M ala matrice è opposta a quella che l’attuale giunta decantava quando stava dall’altra parte della barricata.

E c’è anche chi, se si prova a farglielo notare, va su tutte le furie. Andiamo con ordine. Che in città la percezione della sicurezza non sia migliorata non lo diciamo noi. Basta leggere i giornali locali, tutti i giornali locali. Non ce n’è uno che dica il contrario. Piazza Castello, via Manzoni, via Bergamo, piazza Cambiaghi, l’inizio di via Italia, la zona antistante la stazione, solo per rimanere in centro. Insomma dove non c’è spaccio ci sono bivacchi, dove non c’è assembramento c’è degrado.

I clochard sono ovunque, gli spacciatori idem, l’illegalità è fuori dalla porta di casa. Provate a chiedere a chi vive nella zona di San Fruttuoso o San Rocco. Queste ultime due zone non devono essere discriminate perché sono fuori dal centro. Almeno non dovrebbero esserlo…e invece.

Eppure la campagna a suon di selfie continua. Basta un’operazione, il ritrovamento di qualche grammo di hascisc e ci si batte forte il petto. Peccato che poi la situazione non cambi.

Si diceva della sensazione di insicurezza. Le ronde da sole non bastano. Non vogliamo entrare nel merito della loro efficacia: ognuno la pensa come vuole. Il dato di fatto è che in città, almeno finora, non hanno portato i risultati promessi. Occorre altro per invertire la tendenza. Occorre la luce. Ci spiace sembra che la questione illuminazione sia un tasto dolente per questa amministrazione, che interviene col contagocce per sistemare i lampioni e, al contempo, fa di tutto per tagliare le gambe alle iniziative che potrebbero far vivere la città. Aggiungiamo nel quotidiano a scanso di equivoci.

Degrado e delinquenza: “La colpa è dei Romani”.

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La sicurezza era al primo posto. In campagna elettorale. Ora non lo è più. O meglio, lo è ancora, ma solo a parole. Soprattutto in quelle dette ad alta voce (gridate?) nell’ultimo consiglio comunale. Nei fatti, però, le cose stanno diversamente.

Non lo diciamo noi, basta leggere i giornali locali degli ultimi giorni. Il titolo di uno di questi vale ad esemplificare una situazione che al di là dei proclami peggiora e si sta pericolosamente cristallizzando. “Clochard in centro, Monza protesta”.

Ed è proprio così. Basta fare un giro nel centro città, nel salotto di Monza, per accorgersi che le cose non sono migliorate, come qualcuno va ripetendo a voce alta. . Spaccio di droga, risse, bivacchi a tutte le ore del giorno e della notte, donne aggredite a bottigliate, il campionario è ricco.

Era stata promessa tolleranza zero. Era stata promessa sicurezza. Non ci sono riusciti. Ma la colpa, come sempre, secondo l’attuale giunta, è di chi li ha preceduti. Se qualcuno, gentilmente, si facesse carico di ricordare loro da quanto sono in carica farebbe cosa gradita.

Via Bergamo, via Italia, Carlo Alberto, Vittorio Emanuele, sono le nuove coordinate del degrado che si aggiungono a quelle storiche: la stazione, i giardinetti di via Azzone Visconti, la Fossati Lamperti. Chi si occupa di sicurezza è convinto che basti qualche retata (accompagnata dall’immancabile codazzo di selfie e post) a mettere a posto la situazione.

La colpa è dei Romani si diceva. Quali? Quelli che a Roma ci sono arrivati perché eletti e una volta seduti in parlamento hanno legiferato? O forse, nel consueto gioco dello scaricabarile, la colpa sarebbe da imputare a “quelli che ci hanno preceduto”, in una sequenza che ci riporta fino all’Impero Romano?

Asfalti Brianza: la scusa della sicurezza fa dimenticare gli altri problemi.

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“A causa dell’inquinamento e per via della presenza di aziende insalubri, in Brianza, mediamente, si vive un anno in meno”. A dirlo è l’Energy Policy Institute of Chicago. Che valga anche per la zona di Monza non c’è la certezza, ma che l’Asfalti Brianza, l’azienda che produce bitume, sia sotto osservazione è sotto gli occhi di tutti.

Sono centinaia le segnalazioni che ogni giorno arrivano ai carabinieri e al centralino dell’Arpa da parte dei residenti della zona, tra cui moltissimi monzesi. Occhi rossi, bruciori alla gola, mal di testa, il campionario dei malanni è vario. L’azienda sorge sul territorio di Concorezzo, ma gli odori nauseabondi non guardano i confini e molti cittadini sono stati costretti a comprarsi mascherine da indossare anche quando sono in casa. Stessa cosa hanno fatto le aziende della zona, che le hanno messe a disposizione dei loro dipendenti. Della vicenda, come è giusto che sia, si sta occupando il sindaco di Concorezzo. Ma il problema andrebbe affrontato anche dalle amministrazioni confinanti, visto che li riguarda. Per ora il vicesindaco Villa si è limitato a dire che un impianto del genere dovrebbe sorgere in aperta campagna, lontano dalle abitazioni. Un po’ poco per cercare di risolvere la situazione, quasi uno scarico di responsabilità. Come dire: il problema non è nostro, noi non ci possiamo fare nulla. Invece sarebbe il caso di partecipare attivamente alle riunioni che la vicina Concorezzo ha messo in agenda, visto che la vicenda tocca tutti. Basta che il vento giri e l’odore, denunciano i cittadini, invade Sant’Albino e arriva fino al quartiere Cederna. A ottobre si aprirà un tavolo di monitoraggio che vedrà coinvolti la Provincia, Arpa e il Comune di Concorezzo, non quello di Monza, che assiste da spettatore, senza fare nulla per i propri cittadini.

La politica della giunta di mettere la sicurezza al primo posto (con risultati quantomeno discutibili) sembra che faccia dimenticare altre priorità, altrettanto fondamentali per i cittadini.

Appalto rifiuti: un passato in chiaro scuro per la vincente De Vizia Transfer, che però si dichiara innocente.

Il bando rifiuti avanza lento. C’è il rischio che la gara si trascini ancora a lungo, magari tra carte bollate e aule dei tribunali. D’altronde in ballo ci sono oltre 111 milioni di euro per un contratto di cinque anni, con la possibilità di estenderlo di altri due. C’è un primo classificato, ma non un vincitore continuano a ripetere il sindaco e l’assessore all’Ambiente. Perché l’aggiudicazione è ancora sub judice; cioè prima di avere il via libera l’azienda deve passare attraverso i controlli di Anac, l’Autorità Anticorruzione.

Ma chi è la ditta prima classificata? La risposta, almeno per quanto riguarda il nome è piuttosto semplice: si tratta della De Vizia Transfer. Nata a Torino, dove conserva la sede legale, il suo cuore pulsante (leggasi sede amministrativa) si trova Avellino, dove tra l’altro sono nati i figli del capofamiglia, i quali a vario titolo occupano posizioni di rilievo all’interno della società. E con questo non si vuole dare una connotazione negativa alla cosa, solo riportare un dato di fatto. Ha uffici operativi sparsi in tutta Italia da Nord a Sud, e recentemente si è aggiudicata, o almeno è arrivata prima sulla linea del traguardo, importanti appalti per lo smaltimento rifiuti, anche più consistenti di quello monzese.

Negli anni, come si può leggere in un’interrogazione della Camera, risalente al 2011, il fondatore, Vincenzo De Vizia, è stato al centro di indagini per “gestione di rifiuti non autorizzata; associazione a delinquere; ricettazione; attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (in concorso con altri 38 indagati); getto di cose pericolose, violazione di norme su rifiuti e imballaggi, abuso edilizio, inquinamento delle acque”. Addirittura sembra che il figlio Emilio, in occasione delle elezioni amministrative del 1995 e poi del 1999 abbia minacciato di licenziare i dipendenti della ditta Lima Sud della quale era azionista qualora non fossero stati riconoscenti nell’espressione di voto. Un procedimento poi archiviato per decorrenza dei termini.

Accuse che organi locali di stampa hanno sollevato ovunque la De Vizia Transfer si sia aggiudicata l’appalto per i rifiuti e che i diretti interessati hanno rispedito al mittente con una lettera del loro rappresentante legale, l’avvocato Francesco Maria Filoni, il quale oltre a dirsi “preoccupato per l’attacco mediatico” rimarca che l’azienda è stata assolta dalle imputazioni.

San Rocco: per far contenti 3 negozi si deludono i residenti

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Ci è voluto più di un anno, ma alla fine la giunta ha mantenuto la sua promessa: piazza D’Annunzio, a San Rocco sarà riaperta alle auto. A ben guardare una sconfitta per la città. La cancellazione dell’isola pedonale è stata decisa per fare un piacere ai commercianti della zona che lamentavano un calo degli affari. I residenti della zona non erano, e non sono d’accordo, con la decisione dell’amministrazione. Nei mesi scorsi avevano raccolto oltre 700 firme contro il pericolo di vedere tornare le auto, ma la loro voce non è stata ascoltata.

Tenere l’area pedonale avrebbe innalzato la qualità della vita urbana. Nelle città al passo coi tempi (e non c’è bisogno di andare lontano: basta passeggiare per Milano) stanno ampliando le aree pedonali e si aprono sempre di più alla mobilità sostenibile. Quello che ci vuole è il coraggio di offrire soluzioni che inizialmente potrebbero apparire impopolari (e non era il caso di San Rocco) ma che sulla lunga distanza danno frutti maggiori.

Non servono interventi costosi e dispendiosi, ma azioni mirate che senza grandi opere ridanno lustro alla vivibilità di intere aree. I trend statistici, dove questo tipo di intervento è radicato da anni, dimostrano che a trarne i maggiori benefici sono il commercio e l’economia del territorio, riuscendo nel contempo a creare una città a dimensione d’uomo. Cancellare posti auto disseminati ovunque a discapito delle persone e della stessa urbanistica cittadina, e al loro posto realizzare parcheggi di scambio appena fuori dalle aree pedonali con conseguente aumento del trasporto pubblico si sta rivelando ovunque la mossa vincente. Sono queste le soluzioni in grado di liberare la competitività commerciale e la vitalità sociale di una città. L’elenco dei vantaggi è lungo: dalla vivibilità all’ambiente, dalla salute alla socializzazione, dalla stimolazione della creatività alla partecipazione civica.

Tutto pronto per il Gran Premio di MILANO

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Tutto pronto per il Gran Premio di Milano. No, non è una forzatura, nonostante sia stato rinnovato l’accordo per correre a Monza il Gran Premio d’Italia fino al 2023.

Del circus della Formula Uno a Monza rimane il tracciato, che però fa storia a sé e non porta nulla alla città. Il grosso delle manifestazioni, degli appuntamenti, dello spettacolo (almeno per quelli che non entrano nel tempio della velocità) è a Milano. Tanto per farsi un’idea basta vedere la foto qui sopra. Da noi, in centro, ci sono le macchinine giocattolo per far divertire i più piccoli. Tutto bene, per carità. Ma come al solito un’occasione sprecata per portare in città gente, turismo, per fare di Monza un polo attrattore. E come ogni anno, il cartellone messo in piedi dall’amministrazione per accompagnare la tre giorni – il “Fuori Gp” – è degno di una sagra di paese.

Un’altra occasione sciupata per mettere in piedi quell’evento in grado di creare indotto, di far fare alla città il salto di qualità che si merita. Per qualche ora Monza diventa la parola più usata a livello mondiale nelle discussioni sui social network. Un vantaggio che chi amministra non riesce a sfruttare. Insomma, anche per quest’anno la città rimane a bocca asciutta. E sarà sempre peggio, con Aci che ha preso il controllo del circuito cittadino, fino a pochi anni fa (malamente) amministrato dai brianzoli.