La diaspora di Monza

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La storia del design italiano non abita più a Monza. Il trasloco è definitivo. Il triennale Design Museum, che aveva trovato spazio al Belvedere della Villa Reale, è finito a Milano. Un altro pezzo di città che se ne è andato, un’occasione persa. Nei mesi scorsi gli operai avevano impacchettato le icone del Made in Italy, del disegno industriale che hanno marchiato un’epoca, quella tra il secondo dopo guerra e i primi anni Ottanta, e adesso per ammirarle l’unica possibilità è quella di andare in Triennale.

La Superleggera di Gio Ponti, la Lettera 22, la lampada Falkland di Bruno Munari, il Pratone della Gufram, la lampada Arco di Castiglioni, solo per citare alcuni dei pezzi più famosi che si potevano vedere in Villa Reale. Passando dai saloni d’onore della reggia al Belvedere, lo spettatore faceva un vero e proprio salto nel tempo nello spazio. Adesso l’unico salto possibile è quello nel vuoto.

Ma il Consorzio non poteva fare nulla per evitare di vedersi sfilare sotto il naso questo patrimonio? Sì, no, forse. La risposta non è semplice. Eppure sembra che non abbia battuto ciglio. Il suo presidente – per inciso il sindaco di Monza – non avrebbe potuto cercare alleanze per opporsi al trasloco? In fin dei conti anche Milano fa parte del Consorzio. Ma di sedersi al tavolo col primo cittadino di Milano il nostro pare non ne abbia voglia, a parte la significativa eccezione per il prolungamento della metropolitana. Sembra che più di un assessore veda una possibile alleanza con Milano al pari di un’invasione. Insomma per una non meglio precisata, e pretesa, brianzolità (se ci concedete il neologismo) a patti con Milano non si scende. E il risultato è questo.

Oggi per contare qualcosa occorre fare rete, giocare di sponda, trovare alleanze. Se Monza e i suoi amministratori non cominciano a fare gioco di squadra con Milano, il rischio di rimanere isolati è altissimo. Quello di non contare più nulla, addirittura concreto.

Ora più che mai è necessario avere idee, progetti, che sono la vera moneta da scambiare al tavolo delle trattative. Se questi ci sono allora interlocutori pronti a mettere sul piatto il denaro si possono anche trovare. Ma bisogna averle, quelle idee, per presentarsi dal vicino di casa che ha un peso specifico maggiore. La politica isolazionistica non paga. Il prezzo che rischiamo di pagare è quello di vedere Monza trasformata in una città dormitorio. Senza ricadute economiche di alcun tipo. Una città stagnante che non ha più nulla da raccontare.

È una situazione che si sta ripetendo con troppa regolarità. Basta fare un passo dietro la Villa Reale e veder cosa sta accadendo con il Gran Premio d’Italia.

 

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