A Monza chiudono più negozi che nel resto del Bel Paese.

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Negozi falcidiati. La crisi picchia duro, a Monza più che altrove. A dirlo sono i dati. Tra luglio del 2017 e quello di quest’anno la media nazionale delle saracinesche che si sono abbassate ha fatto registrare un aumento del due per cento. In città, le attività che hanno svuotato gli scaffali hanno raggiunto il quattro per cento. Esattamente il doppio.

Basta fare un giro in centro per accorgersene: via Italia, via Carlo Alberto, via Vittorio Emanuele. È qui che c’è il maggior turnover e dove molte vetrine rimangono vuote. Ma la situazione, fatte le dovuto proporzioni, è sostanzialmente la stessa anche negli altri quartieri.

I motivi sono molteplici. Alcuni esulano da Monza. In questo caso la prima voce da prendere in considerazione è quella del caro affitti. Una morsa che spinge i negozi storici a far spazio alle catene di franchising col risultato di spersonalizzare l’identità del luogo. Altri fattori, invece, sono propri della terza città della Lombardia. I commercianti si lamentano dei parcheggi. Non solo sono pochi, ma da giugno per lasciare la macchina in quelli esistenti si deve pagare di più. La giunta di centrodestra, che durante la campagna elettorale aveva promesso di introdurre la sosta gratuita sulle strisce blu per la prima mezzora – proprio per favorire il commercio – sembra essersi rimangiata la parola. I mezzi pubblici che dovrebbero essere l’alternativa sono insufficienti.

Eventi di richiamo in grado di attirare potenziali clienti, che la passata amministrazione aveva messo in piedi, sembrano essere finiti nel dimenticatoio.

E cosa ne è stato del Distretto Urbano del Commercio? Una sorta di cabina di regia per mettere in comunicazione esercenti e istituzioni. Sembra che quello di Monza non si sia mai riunito. In altre parole è come se la voce dei diretti interessati non fosse mai stata presa in considerazione da chi occupa gli uffici di piazza Trento e Trieste.

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